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domenica 16 febbraio 2014

Ipotesi di tesina: Taylorismo e motivazione del personale

Nell'ultima parte dell'ottocento si sviluppò in Europa un movimento culturale e filosofico: il Positivismo, che teorizzava il progresso scientifico e tecnologico e la scienza come unico autentico strumento di conoscenza e l'abolizione di ogni ipotesi metafisica, secondo quanto teorizzato dal filosofo francese Auguste Comte, che può essere considerato, con la sua opera fondamentale "Il corso di filosofia positiva " tra i massimi esponenti di tale corrente di pensiero.
In questo periodo si ebbero importanti scoperte scientifiche che, applicate nei vari campi tecnologici, trasformarono radicalmente il modo di vivere della gente, segnando il definitivo tramonto della società ottocentesca e la nascita della moderna società di massa.

Il parallelo sviluppo della seconda rivoluzione industriale dette un potente impulso all'industria siderurgica, chimica, determinando la nascita e lo sviluppo di importanti settori: meccanico, automobilistico, chimico, farmaceutico ecc.

Tra le scoperte più significative: il telegrafo, il motore a scoppio, l'illuminazione elettrica e nel campo farmacologico l'aspirina e la penicillina; le scienze operarono un grosso salto di qualità, come la medicina che attraverso nuove scoperte ed applicazioni divenne una vera scienza e riuscì a sconfiggere la malattia ritenute fino ad allora inguaribile, cioè la tubercolosi.

Importanti studi furono condotti dall'antropologo inglese C. Darwin, che sostenne la tesi dell'evoluzionismo e la teoria della selezione naturale della razza secondo tali teorie l'uomo sarebbe il prodotto finale di una lunga e complessa evoluzione (l'uomo deriverebbe dalle scimmie); inoltre secondo Darwin in natura ogni specie tende a migliorarsi, per cui i più sani e forti sopravvivono, mentre i più deboli e malati soccombono e tutto ciò con indubbi benefici per la stirpe stessa.

Altre scienze, che in questo periodo si svilupparono furono la psicologia e la sociologia; quest’ultima è quella scienza che studia in modo scientifico e statistico i vari comportamenti umani nell'ambito della società e che trovò proprio in Comte il suo iniziatore ed il suo effettivo teorico in Weber; la fiducia nella scienza e nel progresso tecnologico è la caratteristica principale del Positivismo; si riteneva di poter spiegare tutto con l'aiuto della scienza, eliminando tutto ciò che riguardasse la religione e che, comunque, non fosse dimostrabile con criteri scientifici.

In Francia tale movimento ebbe i suoi più illustri esponenti in E.Zola, G.Flaubert, G.De Maupassant: questi scrittori si proponevano di analizzare in modo scientificamente rigoroso ed impersonale la società del loro tempo, con tutti i grossi problemi umani e sociali, causati dalla seconda rivoluzione industriale (sfruttamento del proletariato, miseria della periferia parigina, alcolismo, prostituzione ecc,). In particolare Zola creò il romanzo sperimentale, che si proponeva di fotografare in modo distaccato ed impassibile, con l'occhio del freddo chirurgo il degrado sociale ed umano di Parigi, i problemi di una metropoli per tanti aspetti invivibile e disumana, di un proletariato sfruttato oltre ogni limite dai ritmi frenetici della fabbrica. Nasce quindi un romanzo non inventato a tavolino, non di evasione sentimentale, ma fortemente radicato nel sociale, che intende rappresentare in modo obiettivo ed impersonale la realtà di quel tempo. Questo indirizzo prese in Italia il nome di Verismo, ed ebbe delle caratteristiche un può diverse : a differenza del naturalismo francese il nostro verismo descriveva una realtà rurale e contadina, prevalentemente meridionale, non ancora industrializzata. In quegli anni successivi all'unificazione italiana emergevano nel nostro paese i grossi problemi legati alla questione meridionale :mancata riforma agraria, brigantaggio, analfabetismo, miseria di intere regioni, assenza di infrastrutture, inesistente industrializzazione ecc.

I nostri veristi erano in maggioranza originari del meridione, anche se spesso trapiantati al nord ed influenzati dalle mode letterarie straniere, soprattutto francesi (es. la Scapigliatura).I principali esponenti furono: L.Capuana, G.Verga, F.De Roberto, M.Serao, G.Deledda, M.Pratesi, R.Fucini, E.De Marchi.

Alla base del verismo, come s'è visto, vi era il canone dell'impersonalità dell'arte, secondo il quale lo scrittore deve guardare alla realtà sociale del tempo come documento con occhio freddo ed impassibile, con animo scientifico, limitandosi a fotografare tale realtà, anche nei suoi aspetti più scabrosi e ripugnanti, senza inserire suoi sentimenti, impressioni o altro elemento soggettivo. Il romanzo è dunque un documento di analisi sociologica, che ricostruisce lo spaccato dell'Italia di quel tempo con i suoi enormi problemi .Anche la lingua usata è quella mediamente usata in quel tempo, vicina a quella parlata dal ceto medio, spesso rivestita di una patina dialettale.

Rispetto ai naturalisti francesi, i veristi italiani dimostrano un minor impegno sociale e politico, specie nella difesa degli emarginati mentre Zola si schierò pubblicamente a favore dei ceti sociali più deboli ed in generale contro i soprusi e le ingiustizie, subendo vari processi (es.processo Drejfius),il nostro Verga assunse sempre posizioni conservatrici e persino reazionarie, come nel caso del suo aperto elogio al gen. Bava Beccaris in occasione dell'eccidio di Milano del 1898. Lo scrittore catanese si limitò ad un generico sentimento di pietà e solidarietà umana verso i derelitti ed emarginati, senza tuttavia prospettare o, tanto meno auspicare, cambiamenti sociali e politici. In definitiva nei nostri veristi non vi è un autentico desiderio di creare una società più giusta e più democratica, poiché essi, tra l'altro, provenivano tutti da ceti sociali benestanti (ricchi proprietari terrieri).

Economia

Nel 1911, negli Stati Uniti, un ingegnere, Frederick Taylor, pubblicò un libro sull'organizzazione scientifica del lavoro destinato ad avere un impatto fondamentale sulla società e l'economia mondiali degli anni seguenti.
La teoria, che prese il nome di "Taylorismo" sosteneva che il lavoro operaio si può organizzare scientificamente, in base a leggi che, appunto come nelle scienze, siano valide sempre ed in ogni contesto. Disponeva inoltre che l'organizzazione del lavoro operaio dovesse essere decisa da specialisti e gli operai dovessero unicamente eseguire il lavoro sulla base delle indicazioni ricevute; che era fondamentale studiare nel lavoro dell'operaio tutti i tempi necessari ed eliminare, quindi, i movimenti falsi, inutili e pigri.
Sulla base di queste premesse, secondo Taylor gli operai specializzati non rivestivano più alcun valore aggiunto, in quanto la scomposizione del lavoro permetteva a qualsiasi operaio comune di essere in grado di svolgere adeguatamente la mansione ripetitiva e monotona; operaio che non aveva più alcun contatto con il prodotto finito, poiché egli lavorava solo su una piccolissima parte di questo prodotto, divenedo la sua attività solo una piccola parte del processo necessario a costruirlo.
Dalle idee di Taylor venne introdotta nel mondo del lavoro la catena di montaggio che portò con sè la parcellizzazione, frantumazione e la rigida divisione del lavoro di fabbrica.
All'inizio del secolo, la distribuzione della ricchezza inizia a interessare un numero sempre maggiore di persone che aspirano, non solo ad elevare il proprio livello sociale, ma anche a possedere beni di consumo e beni durevoli in grado di assicurare maggiori comodità, e, pertanto, le imprese devono adattarsi a questa nuova realtà.
Per rispondere a una domanda sempre più sostenuta, sono necessari due ingredienti: una produzione di massa e prezzi accessibili a un numero sempre maggiore di persone. Hanno, pertanto, successo quelle imprese che per prime adottano i principi delle economie di scala, della parcellizzazione del lavoro, della produzione di serie e della standardizzazione. Nasce il concetto di catena di montaggio
Dal punto di vista industriale, colui che meglio di altri comprese le straordinarie potenzialità del metodo tayloristico, e quindi della cantena di montaggio, fu Henry Ford proprietario dell’omonima industria di automobili. Egli non solo applicò il metodo messo a punto da Taylor ma incentivò i suoi operai con dei salari alti, in modo da consentire alle classi sociali operaie un benessere mai conosciuto. In questo modo anche gli operai, oltre che essere i produttori di un bene, ne divennero anche i consumatori: molti dei modelli della prima auto Ford chiamata "modello T" furono proprio acquistati dagli operai che la costruivano.

In pratica, quindi, mentre il taylorismo è una formula manageriale che riguarda essenzialmente l'organizzazione del lavoro esecutivo, che viene segmentato e standardizzato in modo da aumentare l'intensità uniforme delle prestazioni, il fordismo nasce invece negli anni dieci con l'intuizione di Henry Ford di applicare nelle sue officine di montaggio il principio della catena semovente. In tal modo Ford perfezionava il taylorismo incorporando nella tecnologia meccanica della catena il ritmo di lavoro che Taylor pretendeva di imporre alla manodopera per via gerarchico-burocratica.

Il modello di impresa che nasce all'inizio del secolo viene chiamato "impresa fordista".
L'impresa fordista è chiusa, si presenta quasi come un corpo ostile sul territorio, la sua missione è la produzione di massa, le sue esigenze sono quelle di sfruttare al massimo impianti rigidi, di grandi dimensioni ed enormemente costosi, ogni componente del prodotto finale è realizzato all'interno della fabbrica, non esiste alcuna sensibilità circa i danni che la fabbrica produce sull'ambiente, né sulla sicurezza dei lavoratori, i consumi energetici sono enormi.
Nasce così la grande industria che si rivolge direttamente al consumatore e la sua missione è produrre. Le caratteristiche salienti dell'impresa orientata alla produzione sono:
  1. il rapporto tra produttore e utilizzatore è monodirezionale, dal produttore all'utilizzatore;
  2. il consumatore è "prigioniero" di un sistema transazionale che non controlla;
  3. l'impresa è orientata a vendere ciò che produce;
  4. l'impresa è convinta di esistere perché produce;
  5. l'impresa parte da se stessa, concentra la propria attenzione sulla produzione e/o sul prodotto e si propone di conseguire il massimo profitto massimizzando i volumi di produzione.
Il dibattito sul taylorismo: le relazioni umane e i motivazionalisti

Nel dibattito sul taylorismo si possono distinguere due posizioni fondamentali, una filo-aziendale e una filo-operaia. La prima mira a emendare il taylorismo dai difetti che alimentano la protesta operaia, in forme come scioperi, assenteismo, sabotaggio e diffusa disaffezione dal lavoro. La posizione filo-operaia è volta invece a negare e superare il taylorismo con varie proposte ispirate a criteri di umanizzazione del lavoro.Tra le posizioni filo-aziendali si distinse la scuola delle relazioni umane, nata negli Stati Uniti già negli anni trenta, ad opera di Elton Mayo (v., 1933 e 1945) e dei suoi collaboratori F. Roethlisberger e W. Dickson (v., 1939). Costoro furono invitati dal management della Western Electric di Chicago a esaminare tutti i fattori che favorivano il rendimento lavorativo degli operai. L'impianto iniziale della ricerca era prettamente tayloristico: si sarebbe dovuto controllare se alcuni fattori ergonomici come l'illuminazione o la disposizione dei banchetti di lavoro potevano incidere favorevolmente sulla quota di produzione giornaliera.
Senonché l'esito imprevisto della ricerca fu la scoperta che il fattore più importante per spiegare le variazioni di rendimento non era di natura tecnica ma umana: precisamente il clima più o meno gradevole che si instaurava sul luogo di lavoro, il tipo di rapporti informali tra le persone, il 'morale' che si sviluppava all'interno del gruppo di lavoro. La scuola delle relazioni umane prese questo nome proprio dalla necessità di curare innanzitutto il fattore umano all'interno delle aziende. Ci si rese conto che il razionalismo tecnico predicato dai fautori del taylorismo puro non poteva funzionare da solo, ma richiedeva di essere integrato da altri fattori capaci di soddisfare il lato emozionale e psicologico dei lavoratori. Lo stesso aumento di paga era insufficiente ad assicurare un maggior rendimento, se l'ambiente di lavoro rimaneva freddo e impersonale. Occorreva 'riscaldare' il luogo di lavoro, renderlo gradito con la creazione di gruppi di lavoro armonici, una supervisione cordiale e amichevole da parte dei controllori, l'attenzione al retroterra psicologico dei soggetti, il riconoscimento che l'ambiente della loro vita quotidiana in famiglia ha un'importanza fondamentale nel determinare anche il comportamento lavorativo.

La scuola delle relazioni umane ebbe il merito storico di riscoprire l'importanza degli aspetti informali del lavoro. Al di là delle strutture ufficiali e dei rapporti formali enfatizzati dal taylorismo, esiste in azienda una fitta rete di rapporti informali di fondamentale importanza. Se questi rapporti sono collaborativi danno luogo a un'atmosfera che favorisce l'integrazione sociale e il rendimento produttivo. In caso contrario, anche il più perfetto organigramma resterà sterile e fonte di conflitto. Conseguenza pratica dell'importanza riconosciuta agli aspetti informali è una politica aziendale volta a favorire la creazione di gruppi di lavoro armonici. A differenza di quanto predicato dal taylorismo, la teoria delle relazioni umane raccomanda che il lavoro sia organizzato riunendo i lavoratori in piccoli gruppi: in tal modo il piacere di lavorare insieme può diventare una motivazione per eseguire senza malanimo anche lavori intrinsecamente ingrati. Con questa teoria nacque anche la figura dello psicologo di azienda e presero avvio tutte le attività di formazione volte ad aumentare la sensibilità del management agli aspetti emozionali, anche inconsci, dei propri dipendenti.

Bibliografia
Treccani - Enciclopedia delle Scienze Sociali (1998) voce: Taylorismo

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