Il titolo potrebbe essere:
Il lavoro negli anni della crisi e il ragionier Ugo Fantozzi: un’esagerazione o la dura realtà?
Il cortometraggio “L’uscita dalle officine Lumière”, che risale agli inizi dell’Ottocento, può essere definito come il primo esempio di utilizzo del cinema per rappresentare il mondo del lavoro. Questo rapporto tra la settima arte e la realtà lavorativa è continuato negli anni attraverso le pellicole più diverse, capaci di delineare a volte in modo ironico, a volte drammatico le problematiche e i cambiamenti della società.
Il rapporto tra cinema e mondo del lavoro, in questo caso quello impiegatizio, non può avere più degno rappresentante di Ugo Fantozzi, personaggio ideato e portato sul grande schermo da Paolo Villaggio. Nelle vicende irreali e tragicomiche dell’impacciato ragioniere, zimbello dei dirigenti e dei colleghi, c’è una satira che diventa però anche penetrante analisi delle dinamiche lavorative: l’uscita dal lavoro, i rapporti adulatori con i vertici, l’odiato cineforum e le tremende gite aziendali.
A ben guardare bisogna dire che Fantozzi non è soltanto un mito comico, una figura proverbiale della risata. La saga di Fantozzi è una rappresentazione del lavoratore moderno che si situa nel clima pesante dell’Italia degli anni settanta, quando già il benessere cominciava a perdere colpi, ma che è ancora oggi (forse oggi più che mai) attuale. L’idea di Villaggio era quella di creare un personaggio esagerato nei suoi tratti negativi e di utilizzarlo per rivelare la meschinità dell’umanità egoista e prepotente che lo circondava.
Fantozzi raccoglie in sé tutti i difetti reali di una vasta fetta della società, quella impiegatizia. E non si tratta solo di una maschera ridicola, senza volto, ma di una icona impietosa ed esatta del reale, vera proprio perchè esageratamente caricaturale.
Nel lontano 1961, Umberto Eco – famoso semiologo e romanziere – scrisse un saggio che stupì gli accademici dell’epoca: Fenomenologia di Mike Bongiorno. Partendo dall’analisi sociologica, Eco indicava il perchè del successo di un personaggio televisivo che si caratterizzava già allora per la sua aurea mediocritas, intesa come capacità di rappresentare nitidamente la società dei mass media, dove il nascente ruolo della televisione cominciava a dare dignità alla mediocrità. Oggi, quella che allora appariva solo una provocazione è diventata la tragica realtà. Allo stesso modo potremmo utilizzare la figura dello sfortunato ragioniere per abbozzare una Fenomenologia di Ugo Fantozzi, che ritorna oggi, come nel 1975, a rappresentare tragicamente l’impiegato “modello” di un’Italia in crisi, schiacciato dalla crescente insicurezza del posto di lavoro, dalle pretese di efficienza indefinita dei suoi superiori (oggi i manager) e dalla paura del licenziamento.
Il lavoro negli anni della crisi e il ragionier Ugo Fantozzi: un’esagerazione o la dura realtà?
Il cortometraggio “L’uscita dalle officine Lumière”, che risale agli inizi dell’Ottocento, può essere definito come il primo esempio di utilizzo del cinema per rappresentare il mondo del lavoro. Questo rapporto tra la settima arte e la realtà lavorativa è continuato negli anni attraverso le pellicole più diverse, capaci di delineare a volte in modo ironico, a volte drammatico le problematiche e i cambiamenti della società.
Il rapporto tra cinema e mondo del lavoro, in questo caso quello impiegatizio, non può avere più degno rappresentante di Ugo Fantozzi, personaggio ideato e portato sul grande schermo da Paolo Villaggio. Nelle vicende irreali e tragicomiche dell’impacciato ragioniere, zimbello dei dirigenti e dei colleghi, c’è una satira che diventa però anche penetrante analisi delle dinamiche lavorative: l’uscita dal lavoro, i rapporti adulatori con i vertici, l’odiato cineforum e le tremende gite aziendali.
A ben guardare bisogna dire che Fantozzi non è soltanto un mito comico, una figura proverbiale della risata. La saga di Fantozzi è una rappresentazione del lavoratore moderno che si situa nel clima pesante dell’Italia degli anni settanta, quando già il benessere cominciava a perdere colpi, ma che è ancora oggi (forse oggi più che mai) attuale. L’idea di Villaggio era quella di creare un personaggio esagerato nei suoi tratti negativi e di utilizzarlo per rivelare la meschinità dell’umanità egoista e prepotente che lo circondava.
Fantozzi raccoglie in sé tutti i difetti reali di una vasta fetta della società, quella impiegatizia. E non si tratta solo di una maschera ridicola, senza volto, ma di una icona impietosa ed esatta del reale, vera proprio perchè esageratamente caricaturale.
Nel lontano 1961, Umberto Eco – famoso semiologo e romanziere – scrisse un saggio che stupì gli accademici dell’epoca: Fenomenologia di Mike Bongiorno. Partendo dall’analisi sociologica, Eco indicava il perchè del successo di un personaggio televisivo che si caratterizzava già allora per la sua aurea mediocritas, intesa come capacità di rappresentare nitidamente la società dei mass media, dove il nascente ruolo della televisione cominciava a dare dignità alla mediocrità. Oggi, quella che allora appariva solo una provocazione è diventata la tragica realtà. Allo stesso modo potremmo utilizzare la figura dello sfortunato ragioniere per abbozzare una Fenomenologia di Ugo Fantozzi, che ritorna oggi, come nel 1975, a rappresentare tragicamente l’impiegato “modello” di un’Italia in crisi, schiacciato dalla crescente insicurezza del posto di lavoro, dalle pretese di efficienza indefinita dei suoi superiori (oggi i manager) e dalla paura del licenziamento.
Nessun commento:
Posta un commento